Inas e l’arte del ricamo palestinese dentro e fuori la Striscia di Gaza

Non è facile ottenere in tempi rapidi il permesso per entrare nella Striscia di Gaza, e quando lo si fa è necessario accertarsi che le condizioni di sicurezza siano accettabili. Una situazione fluida di tregue e attacchi da entrambe le parti, che si protrae ormai da troppi anni, impedisce di pianificare l’ingresso. Decidiamo allora di incontrare Inas virtualmente, dagli uffici AICS a Gerusalemme. Grazie all’aiuto di UN Women creiamo il collegamento, come intorno a un fuoco sacro ci stringiamo per entrare nell’inquadratura, ma una volta constatato il solito problema di segnale (maltempo, comunicazioni inefficaci) ci rassegniamo a parlare senza ausilio del video, sforzandoci di immaginare il suo volto e le sue espressioni, la stanza che avremmo osservato alle sue spalle, la storia che ci racconta. Una conversazione al buio, in collegamento con un altro pianeta, ma non per questo meno affascinante.

Ormai è entrato anche nelle nostre teste” ci confessa Hadil, la collega di UN Women che traduce dall’arabo all’inglese, “ma dobbiamo ricordarcelo ogni giorno e comportarci di conseguenza, lavorando innanzitutto sulle parole: Cisgiordania e Gaza sono una terra sola, la Palestina, non due mondi staccati”. Hadil ha ragione, ma la realtà dei fatti sembra un’altra.

Le suggestioni prodotte dall’incontro in assenza lasciano spazio alla storia di Inas, 28 anni, single, dopo una laurea in Business Administration decide di coinvolgere alcune amiche e compagne di corso per costituire un’impresa al femminile devota all’embroidery, il ricamo di abiti, borse, cuscini e altri oggetti, uno dei più importanti patrimoni dell’arte popolare palestinese. La sua famiglia da subito la sostiene e in diversi modi: la sorella che vive a Ramallah le organizza la vendita dei prodotti in Cisgiordania, il fratello che possiede una libreria nella Striscia le mette a disposizione il suo spazio per coordinare il lavoro con le collaboratrici. La famiglia allargata si pone da subito come il principale bacino di vendita – parliamo infatti di circa 10,000 persone!

L’aiuto fornito dal fratello, poter incontrarsi in un luogo terzo e neutro, consente ad Inas di superare una barriera sociale che da subito le si pone davanti. I mariti di queste donne, infatti, non permettono una visita in casa sua per lavorare o semplicemente parlarle, sono impensieriti dalla presenza degli uomini della sua famiglia– fratelli, padri, zii. Il lavoro procede quindi nelle singole case, dove le collaboratrici di Inas si occupano delle rifiniture che vengono loro assegnate, mentre la rete di vendita si avvale di Facebook e della promozione social. Ad oggi, la fan page di Motarazat Sabaya (https://www.facebook.com/motarazat.sabaya/) è seguita da oltre 12,000 followers.

Quando il Business Women Forum la coinvolge nel progetto sul lavoro dignitoso, Inas non solo può investire soldi nel marketing online ma anche accedere ad informazioni ed acquisire nozioni di economia aziendale mai ricevute prima: impara a calcolare i costi di produzione e ad abbatterli quando possibile, scopre come il lavoro di networking tra i diversi attori della filiera produttiva cui partecipa sia indispensabile per migliorare produzione e distribuzione. “Adesso non lavoriamo più in base a cosa sappiamo e vogliamo fare, per realizzare i prodotti che amiamo, ma rispondendo alle esigenze del mercato, pensando alla vendita” confessa con una punta di orgoglio, andando direttamente al cuore dell’intervento italiano per l’imprenditoria femminile palestinese.

Inas oggi ha 40 collaboratrici, e l’esperienza da imprenditrice le ha aperto gli occhi anche sull’importanza della trasmissione del sapere: vuole diventare formatrice e fare delle sue rinnovate capacità di presentarsi e parlare in pubblico, oltre che della sua consapevolezza da businesswoman, un bagaglio che non può limitarsi alla propria impresa, ma vuole servire da stimolo per altre donne che aspettano solo di ricevere un po’ di incoraggiamento.