Una prospettiva Gender per i diritti dei lavoratori in Palestina

Le donne palestinesi lavorano nelle scuole, nell’agricoltura, nel mare spesso indefinito del settore terziario. Il tasso di disoccupazione femminile nel 2018 si assesta al 51%, il doppio di quello maschile. Guadagnano meno, anche la metà del salario maschile. Spesso devono sobbarcarsi la responsabilità di essere la sola fonte di sostentamento familiare e allo stesso tempo garantire la cura di casa e prole. In casi di sfruttamento estremo arrivano ad essere sottopagate fino a due euro al giorno.

Un quadro allarmante che ripercorriamo con il Viceministro del Lavoro Abdel Kareem Daraghmeh e Iman Assaf, la Responsabile della Gender Unit al Ministero del Lavoro. Tuttavia, si stanno facendo notevoli passi in avanti, grazie alla revisione della Legge sul Lavoro palestinese prevista nel quadro del Programma Decent Work, realizzato in partnership da Un Women e ILO e finanziato dalla Cooperazione Italiana.

Tra tazzine di caffè al cardamomo e sigarette che riportano ad atmosfere ministeriali dell’Italia da Prima Repubblica, scandagliamo il mercato del lavoro femminile in Palestina e i termini della Legge che lo tutela, molto avanzata nel mondo arabo ma resa inefficace dall’occupazione militare israeliana, che ha frammentato il territorio della Cisgiordania e rende, ogni giorno, estremamente problematici gli spostamenti di uomini e merci, in particolare per gli ispettori del Ministero che si muovono tra le varie aziende palestinesi verificando l’applicazione delle Leggi.

Il progetto italiano ha formato i nostri ispettori, migliorando la logistica dei controlli ed accelerando i sistemi di controllo e sanzione delle imprese; inoltre, ci ha consentito di perfezionare il sistema di denunce a disposizione delle lavoratrici sfruttate”, racconta il Viceministro. “Ora è possibile sporgere denuncia in forma anonima e avvalersi di un numero verde che presto sarà disponibile giorno e notte”.

La paura di perdere il lavoro se autori di una denuncia gela il sangue a chi, uomo o donna che sia, in Palestina sa di avere poche opportunità. Denunciare è spesso causa di licenziamento, e in un territorio dove le opportunità sono poche, spesso è meglio accontentarsi e continuare a testa bassa, ignorando i propri diritti.

Il lavoro congiunto tra Ministero del Lavoro e Sindacato ha prodotto in questo senso importanti risultati: durante le attività di awareness nelle aziende, svolte dal progetto, ben 700 donne hanno capito quanto fosse importante iscriversi al sindacato e lo hanno fatto. Due terzi di loro risiedono e lavorano nella Striscia di Gaza. Scopriamo questa e altre storie dalle Rappresentanti delle Gender Unit al Sindacato Palestinese del Commercio (Palestinian General Federation Trade Union). Sono sei le sindacaliste giunte dai principali governatorati: Nablus, Betlemme, Hebron, Ramallah. Dalle loro parole emergono storie dai risultati altalenanti, in cui costante ricorre la discriminazione subita, la minaccia spesso violenta, la trattenuta di parte dello stipendio, l’insicurezza di appellarsi alle Leggi per migliorare la propria situazione.

In alcuni casi, però, il sole della Palestina entra a illuminare volti e parole: imprenditori ignari della legislazione che grazie alle sessioni fornite dal Sindacato hanno deciso di riconoscere alle lavoratrici i loro diritti, una donna incinta licenziata senza giusta causa che è stata fatta riassumere, il salario minimo garantito per tutti i lavoratori, in qualche caso particolarmente virtuoso.

Torniamo con la mente all’incontro al Ministero del Lavoro, quando Iman Assaf ci aveva illustrato il lavoro di consultazione e coinvolgimento di società civile, imprenditoria, sindacati. Questi ultimi avevano giocato un ruolo decisivo nell’orientare il lavoro di revisione della Legge e nella produzione del Position Paper finale. Lo capiamo ora ascoltando l’intensità e l’impegno che queste sindacaliste investono sul campo per migliorare l’accesso ai diritti che sono lì, nero su bianco, a portata di mano, hanno bisogno solo di essere rispettati: la pensione, la maternità, il salario minimo, la sicurezza sociale che da mesi si discute in Palestina con rinnovata partecipazione.

Un lavoro enorme ma indispensabile che punta a colmare la distanza tra il dire e il fare che per molti risulta intollerabile. E il futuro? Lo chiediamo a Aysha Hmouda, alla Gender Unit del Sindacato. Un sorriso emozionato accompagna le sue parole, caricandole di senso e convinzione: “La sfida è continuare così, su questa strada, stimolando la cooperazione tra donne affinché aumenti la consapevolezza nei propri diritti e diminuiscano le diseguaglianze nel mondo del lavoro. Non siamo subalterne, dobbiamo solo diventare protagoniste!”