Ola e il ricamo palestinese tra tradizione e business

Ola Joulani aveva l’oro nelle mani e non lo sapeva. Non aveva mai osato, né immaginato di vendere i propri ricami tantomeno di diventare imprenditrice.

Ola ha avuto un’infanzia turbolenta che l’ha resa insicura e fragile. E’ nata in una famiglia numerosa, con quattro fratelli e due sorelle, ed è rimasta orfana di madre a sette anni. Poco dopo il padre ha sposato un’altra donna, ma sin da piccola ha dovuto imparare a gestirsi da sola. La matrigna l’ha costretta a lasciare la scuola dopo la terza media per avere il suo aiuto in casa. Poco dopo si è sposata, ha ripreso a studiare ma con gli impegni del matrimonio e la nascita dei tre figli la sua vita non è migliorata, e non è riuscita a laurearsi come desiderava.

Negli anni ’90 ha intrapreso una collaborazione nel campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme Est, dove assisteva le donne vittime di violenza. Ancora oggi continua a svolgere questa attività e fa parte del Comitato Amministrativo del Woman Center. “Nel campo di Shuafat le donne hanno bisogno di essere seguite e riabilitate, la violenza c’è ed è pure molta, soprattutto all’interno della famiglia” ci racconta.  Insieme al lavoro, aveva sempre coltivato una passione per il ricamo, ma non aveva mai pensato di trasformarla in businnes.

C’è voluto l’incoraggiamento e la spinta di un’amica, affascinata dal suo lavoro, a invogliarla a dedicarsi professionalmente alla sua abilità. “Stavo ricamando un vassoio da regalare a mia sorella quando la mia amica mi ha spronato a partecipare a una fiera d’artigianato. Ho accettato il suo invito e grazie a lei ho fatto un passo avanti, ho trovato una dimensione lavorativa, di guadagno” ci racconta Ola quando la incontriamo nel suo laboratorio, una stanza presa in affitto al piano terra del palazzo dove abita.

Quando entriamo ci fa accomodare, ci offre caffè arabo, forte ed aromatico, si siede dietro la sua macchina da cucire e ci mostra i ricami disposti su tavolate, negli scaffali e ben visibili su cuscini e divani. “Ho accettato la sfida di portare i miei prodotti sul mercato perché la mia amica mi offerto il suo aiuto. Ho partecipato alla prima fiera con lei ed è andata bene. Sentirsi sostenute aiuta a non arrendersi”, aggiunge Ola, frugando tra i suoi ricordi, con uno sguardo schietto e vivace che fa risaltare i fiori stampati sul velo che le avvolge il capo.

Ola, infatti, si è lasciata aiutare nello stabilire i prezzi, nel disporre la mercanzia, sostenuta dalla fiducia e dall’apprezzamento dell’amica, che ha valorizzato le sue capacità. Ora spende il suo tempo a ricamare e organizzare la sua attività. Ha coinvolto due ragazze come assistenti per vendere i ricami, che richiamano l’antica tradizione palestinese, arte raffinata e paziente tramandata di generazione in generazione nel mondo delle donne e patrimonio popolare, tra i simboli dell’identità culturale. Attraverso le nozioni apprese nei corsi di formazione realizzati dal progetto della Cooperazione Italiana, il suo orizzonte si è allargato e la sua attività diversificata, ha ricevuto due nuovi macchinari e 1400 shekel (circa 350 euro) di materie prime per avviare la propria impresa.

Ha acquisito una nuova consapevolezza di sé stessa, è entrata nei panni di un’imprenditrice capace di lavorare non solo per la realizzazione personale, ma anche per incrementare i suoi guadagni e migliorare la sua vita quotidiana e quella della sua famiglia. Con una punta di soddisfazione e appagamento, Ola aggiunge: “con il corso ho imparato a fare i preventivi, a calcolare le entrate e le uscite e a organizzare i costi. Prima non badavo alla benzina per gli spostamenti, ora calcolo tutto e mio marito e i miei figli sono orgogliosi di me”. Durante le lezioni le hanno insegnato, anche, a fotografare i suoi lavori e a promuoverli sui social media. Ha imparato nuove tecniche e ora usa la propria creatività in diversi ambiti, dalle borse all’oggettistica, lavora il rame, cosa rara a Gerusalemme, ha imparato a mettere i ricami sulla terracotta e ora decide da sola i prezzi con cui vendere la mercanzia alle fiere.

In Palestina molte donne sono vittime di tradizioni e consuetudini conservatrici in cui gli uomini ne limitano le scelte per proteggere “l’onore” dell’intera famiglia. “Le mie ragazze lavorano nei loro appartamenti, i loro mariti non le permettono di venire a lavorare da me. Sono io a portar loro i materiali. Le pago in base ai gomitoli lavorati. In questo modo utilizzano bene il loro tempo e anche chi non può uscire di casa può lavorare e costruirsi una vita attiva.”.

“Bisognerebbe imparare a trasformare le esperienze negative in positive” – chiosa Ola – “Conosco gente che quando vede un ostacolo si rassegna. Invece bisogna reagire e incanalare la propria energia nel modo migliore”.

Oggi con Ola lavorano sei ragazze. C’è chi scolpisce il legno, chi tira le pelli per fare le borse e lei è felice di aiutare altre donne che spera, in futuro, ne aiuteranno altre ancora.